
Antonella Fimiani ed Etty Hillesum si conoscono in una stagione di rinascenza femminile, quando solo una donna di parola puó comprendere una donna della parola.
Accade cosi, nei rapporti simpatetici del mondo, ci si annusa tra odori di reminiscenza originaria, si accarezzano i reciproci giardini segreti, quelli dalle nicchie inconfessate e le storie innaffiate tra lacrime e rugiada. Donne e parole che stringono sodalizi, come solo la pancia accogliente che é generatrice di eventi, sa compiere in una eccedenza di eternitá della specie : figli e storie, abusati ed abortiti, rilanciati come nel gioco dei dadi, sono i prodotti di una generazione femminile destinata a perpetuarsi nel gioco dialettico delle testimonianze, quelle dei padri, degli orchi e degli orrori.
Senza la penna che é donna, e senza la parola che é pancia di donna lievitata a creare ricordi e traumi, non avremmo la grazia di un Diario scritto per trovare il modo e non un modo solo, di dire Olocausto.
E mentre brucia tutto intorno, e foreste umane sono divelte per mano dell’inossidabile ottuso, nel notturno che non é preludio ma solo domanda su Dio, una donna giovane ebrea, madre e non madre, scrittrice e non scrittrice, morta e sempre piú viva a ridosso della morte, ripercorre le vie della creazione scritturale, impugnando il coraggio e lo stupore che si devono dinanzi ai residui brandelli di mondo, tutti poetici, che ella non trascrive, ma partorisce, come la donna biblica che sa procreare nella sterilitá e, forse, nel rifiuto, del suo essere materico.
I Diari di Etty Hillesum sono intensi, incidenti e cinici, laddove la messa in parentesi dell’orrendo é la vittoria sul superfluo, su quel male di superficie che dice “non sapevo”, é la ripresa di un atto di coscienza tanto poco intellettuale, quanto più materno e poetico, che affida alla parola il gesto della creazione dal nulla.
I suoi scritti sono sublimi, ma intonarsi ad essi, e scrivere di essi, contempla il doppio gesto della descrizione e della immedesimazione: uno stare dentro e fuori le parole di Etty, che Antonella Fimiani sa compiere con delicata insistenza, con la generosità di chi non teme la competizione fra le parole, stabilisce la precedenza delle sue, quelle di Etty, e le corrompe di bellezza con le proprie.
E allora leggi di entrambe, non solo di Etty, in un duetto, o coro a due voci, o una scrittura a quattro mani che si innesta su un’anima sola, anima che é di parola, leale e onesta, vera come lo é l’esistenza, e anima di parole, testimone e garante per l’eternità, dell’ ossequio che si deve alla bellezza salvifica, quella che sa essere invivibile e solitaria, come cattedrale nel deserto, come Parola in mezzo alla morte.
Una recensione bellissima per la profondità e insieme la grazia delle parole. Sei bravissima Valeria.
….. come la donna biblica che sa procreare nella sterilitá e, forse, nel rifiuto, del suo essere materico….
grazie Valeria, ho trovato nel tuo scritto la grazia di questo mio gelsomino che, nel tramonto dell’autunno, sta…. come il gelsomino di Etty…
Paola Cavallari