Certi viaggi si consumano nelle attese alle stazioni, nelle soste agli imbarchi oppure in autostrada, in autogrill sbiaditi. Oppure accelerano come salti di pellicole, nella tumultuosa voracità delle escursioni e delle gite, si rimpiccioliscono nel valore estemporaneo di un souvenier, scambiano per esotico un semplice passaggio di consegne, quello dal noto al meno noto. In realtà molte esperienze di viaggio hanno ben poco da raccontare perché il tutto si riduce ad una cartolina.
I viaggi di Massimo Zaina, invece, sono come i suoi racconti perché i suoi racconti sono tutti dei viaggi: storie che si son toccate con le mani rese appiccicose dall’afa di certi paesi scottati dal sole, storie alcoliche, liquefatte in un umore imbevuto di vino e vodka, storie di passioni fini a se stesse, di slanci destinati al ripiegamento, di parole forti sparate in faccia senza pudore. E sono storie crude, feroci e coraggiose come lo sono certi viaggi ai confini del sopportabile, perché per alcune vite, quelle più povere e degradate, ogni giorno diventa un viaggio, un racconto mobile, che a raccontarlo, appunto, già più non è. E’ diventato un altro viaggio. Un altro sorso di whisky, nel quale affoga un certo senso del convenzionale. E forse del gusto.
I personaggi di Zaina, sono al limite del lassisimo e dell’oltraggio, ribelli e bestemmiatori quanto più sono repressi da condizioni sociali, dal lavoro che deride lo sforzo dell’uomo, dai semplici episodi di sesso sostenuti da arie di sarcastico materialismo. A volte, si uccide e diventa un gioco uccidere, un’azione come un’altra, come bere rhum con Coca Cola.
Racconti antiborghesi, se si potesse definirli cosi, racconti difficili, ad una prima lettura, perché inaciditi nell’alcol, nelle vene in cui scorre sudore e non sangue.
Ma c’è un elemento che mi ha dato respiro e forse speranza, quando certe volte sembrava che fosse davvero troppo arduo, per me, leggere il senso dello spaesamento dell’uomo, la sua inettitudine ed insieme grandezza, la sua miseria e la sua nobiltà, nella vita continuamente mescolata alla morte.
Sono le luci. Luci di fari di macchine in corsa. C’è possibilità di redenzione per tutti gli Scorpioni?
Per tutti coloro che vivono con passione e di passione peccano?
Nei viaggi di Zaina ci sono le luci. Le luci di lampioni, le luci delle gru, alte e mostruose, le luci di appartamenti sbiaditi e carichi di cattivi odori, le luci delle fiamme di incendi appiccati per dispetto, le luci gialle e blu delle auto della polizia, le luci del flash ad inquadrare certi istanti, certi drammi.
Luci di coscienza? Echi di risvegli? La luce mostra, anche nel mostrare i mostri. E guardare l’inguardabile e poi raccontarlo, forse può davvero salvare i peccatori.
Uno di questi Scorpioni aveva appena pestato a sangue un mendicante di origine slava. Poi gli aveva dato fuoco ancora vivo. Un incidente mortale con l’auto per tentare una fuga.
“Lievitai silenziosamente, quasi sospeso ad una decina di metri dal suolo, in pace con me stesso.
Lontano vedevo le luci della frontiera con Gorizia e ancora più dietro l’alba. Ripensai a mia madre e mi chiesi se la luce dell’alba l’avrebbe incontrata nell’orto, china sulle sue melanzane coperte dalla rugiada del mattino.
Per ogni Scorpione, forse, c’è una luce dell’alba.
© Valeria Francese