Prefazione al libro Ghigo e Gli Altri di Carlo Santulli

Affabulatoria, intensa, densa di forme e linee intrecciate, essa si caratterizza per la sua lucida e salda resa visiva degli oggetti e delle vicende, tratto che rievoca per suggestione la straordinaria sintassi narrativa dell’Ecole du Regard; similmente aperta e multiversa, la poetica di Carlo Santulli, svincolata dall’aggancio ad una trama univoca, si apre al senso ed al flusso ininterrotto della vita reale,  tanto da farsi tiranna nel catturare l’attenzione del lettore e generosa nel contempo nel restituirgli un retrogusto soffuso di evocazioni palpabili, al limite del carnale. E se anche le definizioni manualistiche lasciano il tempo che trovano, i racconti del libro possono essere colorati da un accento realistico, ma solo se per realista non intendiamo dire mimetico, referenziale, atto di corrispondenza univoca fra le parole e le cose: il realismo di Carlo Santulli è qualcosa di profondamente diverso dalla fiera selvaggia del significante catturata nella gabbia del significato.

La sua scrittura, infatti, indossando la maschera di un gentile alter ego, diviene capace di reggere il colloquio con la Grande Assente, la Verità del patto mimetico, attraverso un chiacchiericcio composto ed ironico con le cose del mondo, ed un assemblaggio equilibrato di temi e registri linguistici. Siamo ben oltre la referenzialità, perché il patto questa volta e fra due assenze: il soggetto ed il mondo, l’uno icona dell’altro, interscambiabili, anticartesiani per sostanza, non frontali l’uno all’altro, ma immersi in una realtà reversibile. Non rinunciando dunque alla descrizione del fenomeno, si tratta di comprendere la diversità delle modalità di questa descrizione: Carlo Santulli indirizza la sua lucida precisione analitica proprio sul momento di rottura epistemologica, sulla piega e sulla traccia che indicano il punto in cui sia avvenuta la cancellazione, sull’epochè in cui si declina l’assenza. Ma si è ben lungi dall’aprire le porte al disordine entropico e dal barattare il principio logico d’identità con un multiversum incostante e capriccioso di variabili ingestibili.  Carlo Santulli sceglie infatti la strada di un realismo che si genera da sé, di una narrativa che non soggiace alla metafisica della presenza, tuttavia s’arresta nel dentro della “conchiglia traslucida del sensibile”, non oltrepassabile, pena una caduta nel non senso. La letteratura è dunque salva dal parricidio ingrato commesso da certe avanguardie letterarie, che pur di denunciare la Grande Assente, la Verità, finisce con il divorarsi fin dalle sue fondamenta e mettere in discussione il suo stesso statuto di scrittura.

Infatti, siamo di fronte ad una letteratura che, nonostante il suo disancoraggio narcisistico alla simmetria invalicabile del significante e del significato,  ci mostra come una narrazione convinta e convincente possa generare se stessa mantenendo una salda referenzialità semantica.

Al pari dei noti sistemi autopoietici delle scienze moderne,  con cui la letteratura di Santulli non teme il confronto e anzi sembra proprio trasporne l’indagine sul piano della letteratura, si evince che la caratteristica fondamentale di sistemi viventi è il fatto di possedere una struttura organizzata capace di rigenerare nel tempo la propria autonomia rispetto alle continue variazioni dell’ambiente circostante e dell’intero sistema, alla cui genesi contribuisce la stessa creazione delle proprie parti costituenti. Le  vicende narrate in questi racconti, infatti, si specificano essenzialmente per la loro capacità ricorsiva del testo di generarsi a partire da un suo punto qualunque, cioè da un inizio che è gia sempre “un esserci stato”, la cui genesi logica prima che cronologica diviene tema portante di una fitta rete di varianti e icone seriali. La rappresentazione che si ottiene, dunque, per nulla sottomessa al rispecchiamento con il reale ma capace di munirsi di una solida struttura semantica, si presenta complessa ma non complicata, caotica ma ordinata nel suo caos, vibrante ma non inquietante. Colorata, affascinante e perturbante come i frattali di Mandelbrot, la scrittura di Santulli si presenta dunque come un sistema autoproducentesi, che sfugge in tal modo al silenzio dell’indicibile, sia esso frutto delle strutture universali in cui si cela l’individualità, sia esso risultato delle infinite interpretazioni di un testo destrutturato. In una sorta di operazione combinatoria, di letteratura parallela che non teme confronti con le strategie oulipiane né tantomeno con l’indimenticabile narrativa calviniana, la poetica santulliana, edulcorata dagli istinti massimalisti e dalle forme algide di obbedienza alla regola istituita dal sistema combinatorio, si presenta con morbidezza e con una certezza non presuntuosa di dire il visibile. Le vicende narrate ripercorrono associazioni di idee e seguono lo snodarsi dei fatti senza necessitare di alcun filo d’arianna: è infatti l’ambiente stesso che sembra plasmarsi attorno alle parole e non viceversa, grazie al buon adattamento  delle traiettorie inverse dei testi prettamente “corali”, come B.A, Gli Scettico Blu, L’amore nella città sommersa, nei quali le spinte centrifughe attuate dai personaggi hanno il pregio di dilatare la struttura narrativa  senza temere il disancoraggio dal centro, grazie all’ottima regia dell’autore che ne fa pedine solipsistiche solo in apparenza ma in realtà concede loro l’estrema vitalità di movimenti, arricciamenti e rientri, tipici della solidarietà variopinta dei frattali.

E con la struttura narrativa si autogenera anche il suo senso: Come i cerchi nell’acqua, per riprendere il titolo di un altro racconto della raccolta e sfruttare così la ricca terminologia metaforica dello stile santulliano, il senso morbido e liscio si istituisce a partire della sua funzione ricorsiva, al pari dei cerchi generati nell’acqua. E’ in questo modo che la letteratura accoglie in sé e nutre i “diversi scenari possibili”, proposti dalle scienze esatte come la modellistica, presentata dal protagonista de Il clostridio dei Pirenei, come il paradigma di una potenzialità ininterrotta degli stati di vita vissuta, gli orizzonti infiniti che approdano dalle scienze direttamente sulle spiagge della letteratura. Il mondo dei personaggi di Carlo Santulli, dunque, diviene davvero solo uno degli infiniti mondi possibili leibnziani, nel quale vale il principio di ragion sufficiente, àncora fedele delle nostre presunte verità e dei nostri ragionamenti esatti, che almeno nell’ hinc et nunc si rivelano veritieri. E allora davvero non può contare se C’è poca trama, racconto sottile e quieto che è chiara espressione autobiografica, perché la letteratura non dovrebbe raccontare fatti né misconoscerli, ma piuttosto porgere i molteplici modi di descriverli, coerenti ed esatti qualunque sia il punto di vista da cui si sceglie di contemplarli, ma sempre, inevitabilmente diversi.

“Andare avanti o tornare indietro, o riavvolgersi su se stessi, l’importante è ottenere lo scopo di dire ciò che si vorrebbe esprimere”, in questa affermazione santulliana, si esprime la funzione ricorsiva e combinatoria che si mesce ad un irrinunciabile voglia di dire il visibile.  e si presenta in una nuova ed avvincente veste: si fa spesso idiomatica e ricorre spesso all’uso della citazione. Quest’ultima rappresenta il valore, a tratti metafisico, di un “succedaneo” della Quinta Arborea, che similmente cioè prevede la sostituzione, il richiamo a, il rinvio a. A cosa si rinvia? Un surrogato di gran pregio, se pensiamo che ciò che qui si richiama, ma solo per via di negazione, è la Grande Assente, anzi è l’assenza stessa che si fa splendida diegesi, invocata per flussi temporali capricciosi e biforcazioni temporali umoristiche, come in Ghigo e l’ora legale e I baffi del Cavaliere. Unito al tema del recupero storico, metafora di una ripresa del tempo nel tempo, alcuni temi portanti dei racconti di Carlo Santulli, come il mondo dei treni e dei cali di cemento nella riorganizzazione strutturale dei Piani Regolatori, fungono da elementi idealistici di un’ esigenza di edificazione, costruzione, di una forma strutturale che consenta la vivibilità ed il movimento nello spazio narrativo, spazio che si vuole ordinare perché possa essere detto, oltre ogni ipotetico dubbio scettico.

A metà fra realismo ed intreccio combinatorio, la poetica di Carlo Santulli rivela, a sorpresa, che c’è ancora dell’altro, anzi che per sempre ci sarà dell’altro: la nota bianca del surrealismo, troppo timida e celata per chiamarla ad alta voce,  sempre lì sulle soglie del senso, pronta ad entrare anche solo attraverso il minimo spiraglio. E’ proprio perché nei racconti di questa raccolta, il punto e la chiusura non si ipotizza né a volte si giustifica,  che queste pagine respirano di  una carica sensuale che non le farebbe mai smettere di parlare, ma le arresta sulle labbra ancora umide di cose da dire.

E se, solo esse lo volessero, in qualunque istante, potrebbero ricominciare daccapo, belle e turgide, infinite di senso, come i procedimenti inesausti dei problem solving o  le costruzioni sorprendenti, barocche, dei frattali.

Valeria Francese

Autore: Valeria Francese

Valeria Francese nasce a Salerno nel 1979, ha conseguito nel 2003 la laurea in Filosofia con una tesi in Estetica sulla Poetica dello sguardo nella letteratura e nelle arti contemporanee. Nella sua città insegna filosofia negli istituti superiori. Partecipa da sempre a numerosi concorsi di narrativa, ha scritto sceneggiature per il teatro, una piccola meravigliosa esperienza cinematrografica. Nelle ultime esperienze artistiche, una collaborazione per una mostra di fotopoesia, dove la luce e il verso hanno trovato la loro, splendida ed epifanica, parola comune. Da allora, la poesia é diventata la sua Casa Madre. Qualche volta ottiene seri riconoscimenti, menzioni e leggere pubblicazioni, altre volte, come capita a tutti quelli che amano scrivere, un robusto silenzio, quanto mai evocativo di altro talento come quello della pazienza, dell'attesa e della costruzione invisibile. Correttrice di bozze e in procinto di terminare un master in editing e scrittura creativa, sta svolgendo il biennio di tirocinio per diventare giornalista pubblicista. Insomma se nella vita le fosse concesso, sarebbe Scrittura Solo.

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